Trasferimento in treno da Matarò a Valencia: modalità italiane, diciamo, nel trattamento delle bici, quindi si va di regionali con gran calma e coincidenze mooolto comode.
In ogni caso, mezza giornata in treno et voilà, Valencia by night!
Subito a cena in plaza mayor e poi doccia e tentativo di dormire sul divano caldo e corto.
In qualche modo sopravvivo alla notte appiccicosa, sistemo la bici, saluti e baci e, ore 09.00, si va.
Attivo gmaps per districarmi in città ma scordo Strava, quindi manca qualche chilometro all’appello… evabbè.
L’idea è di prendere la ciclabile della Xurra che porta a Pucol, e da lì a Sagunt: è un’ex linea ferroviaria schiodata e riadattata, che inizialmente serpeggia in periferia ma prende una sua fisionomia solo ad Alboraya (09.35, km4), dove mi fermo in panaderia per comprare qualcosa per colazione, che consumo all’imbocco della ciclabile stessa.
Alle 10 si riparte lungo la pista dipinta di rosso e tra campi, orti urbani e lottizzazioni varie si arriva alla periferia di Pucol: proseguo scavalcando l’Autovia per giungere a Playa de Pucol, dove la senda costera è però segnata come “camino cortado”… cazzarola, non posso rischiare, tocca improvvisare (10.50, km24).
Prendo una secondaria chiusa tra i campi, costeggio l’autopista, serpeggio nella zona industriale del porto ed arrivo finalmente al port de Sagunt (11.35, km42).
Spalle al mare, punto verso le fortificazioni romane ben visibili sulla destra orografica del rio Palancia: un po’ di ghirigori nel traffico ed eccomi nella città vecchia di Sagunto (1210 km50), tra le strette stradine in salita verso il teatro romano ed il castello.
Il caldo e l’umidità sono asfissianti, e la salita al colle è l’ultima goccia: serve lubrificare le ginocchia, sosta birretta all’ombra (12.45, km53).
Riparto per qualche occhiata in più a vicoli e stradine, scavalco il fiume, faccio il punto e decido il prossimo tratto, mi bevo una cerveza y limòn, e riparto, stavolta sul serio: 13.30, ginocchia molli, scavalco l’autopista un’ultima volta ed infilo il camino vello de Terol, che sale a sbalzi tra frutteti, ulivi e fattorie, prima di girare sulla più importante CV302 e sulla principale che conduce a Torres Torres, dove si gira subito a destra per Algimia de Alfara (14.20 km67), dove, moribondo, è ora di menù del dìa!
Esticazzi, era ora!
Sosta rigenerante di un’ora e mezza all’ombra annaffiata di fresche cerveza y limòn e, manca 10 alle sedici, si riparte: qui inizia la Via Verde de Ojos Negros, la più lunga di Spagna, ex linea ferroviaria mineraria convertita a ciclabile.
Si pedala dunque tra ulivi e frutteti, serpeggiando nella campagna su fondo vario ma sempre buono e si giunge (17.05, km89) ad Altura dove mi concedo dieco minuti do sosta: il caldo è ancora tremendo.
Sempre in leggera salita, il prossimo paese è Jerica (17.45, km100) dove mi fermo a mangiare un chilo di paraguagios e bere un litro di tè: si crepa.
Giusto i 15 minuti necessari e via, ovviamente sempre in salita, fino a Caudiel, dove infilo la testa nella fontana e riparto (18.35, km107).
A tratti la pendenza si fa più decisa, ed ormai è evidente che il climax sta cambiando: i frutteti lasciano il posto agli alberi ad alto fusto, le pareti si fanno più aspre e vicine, la pista corre maggiormente in trincea, su viadotti ed in galleria.
Il lungo “viaducto Fuensanta” (18.51, km111) mi pare segni un po’ il limite tra la parte collinare e quella montuosa del tracciato: da qui siamo proprio in altura.
Si continua a salire, soffia un po’ di vento, il sole brucia un po’ meno, gli spazi si fanno più aperti e prativi, gli alberi si diradano: il fondo è ormai quasi esclusivamente un brecciolino veloce e polveroso.
Ormai in quota, attraverso un campo di aeromotori, un arido altopiano segnato dal ronzio delle turbine e dalle loro enormi ombre vorticanti: gli ultimi 5_6km son un facile falsopiano, che porta alla stazione di Barracas 2000 (20.00, km131) e poi procede oltre.
Aspetta!
Un occhio alla mappa e: questo è il punto più alto drl percorso (1000mslm) ; il prossimo pueblo sembra essere ad un venti chilometri; qua ci sono un ristorante ed alcune possibilità di alloggio…
Torno indietro e trovo una stanza alla cooperativa sociale del paese (20.10, Km134, 1294mD).
Bici in magazzino, doccia rovente, due chiacchiere in francese prima di capire che anche l’altro è italiano (Carlo da Firenze), poi esco per fare bancomat: cazzarola, ho lasciato tutto sulla bici!
Tento i numeri di riferimento: niente.
Vado al bar ristorante e chiedo ad un gruppo di indigeni se conoscono il tipo della cooperativa: claro que sì, ma non risponde neanche a loro.
“Allora, intanto che aspetti, siediti con noi a merendare con questo prosciutto di cinghiale e col capriolo in salmì”.
Non faccio neanche finta di pensarci e aiuto come posso ad esaurire le scorte di animali “morti nel sonno per cause sconosciute”… si suppone un avvelenamento da piombo calibro 12, comunque.
Quando arriva il tipo, offro un giro di birrette, vafo a recuperare il necessaire e finisco di cenare con qualche rationes ed un paio di birroni gelati… buenas noches!